La sala è quella dell’Isa di Monza. L’occasione è un incontro all’interno di un percorso organizzato dall’istituto d’arte sul tema della legalità. L’ospite è una di quelle figure che realmente possono far compiere una riflessione adeguata e fuori dagli schemi sul tema della legalità: Don Gallo.
L’incontro è un vero e proprio monologo del prete genovese, che spazia ovunque, ma soprattutto sulla sua chiesa (che non vuole sia un’altra chiesa, ma una chiesa altra, come ama ripetere) e sulle sue esperienze di vita, più qualche (numerosa) riflessione sulla situazione politica attuale.
La prima particolarità di cui si rimane colpiti è la capacità tutta peculiare ed insolita di coniugare temi e tesi tipiche della cultura altermondista e movimentista, con l’intera “cassetta degli attrezzi” ecclesiastica, composta da gestualità accentuate, movenze plastiche, toni di voce continuamente modulati, ma anche da parabole e giaculatorie. Per chi come me è abituato ai contenuti ma non ai mezzi comunicativi, il risultato è certamente inusuale ma di forte impatto.
Così la giaculatoria declamata è “Istruitevi perché abbiamo bisogno di tutta la vostra intelligenza. Agitatevi perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi perché abbiamo bisogno di tutta la vostra forza” (no, mi rifiuto di scrivere di chi sia, se non la riconoscete per penitenza la dovete cercare su Google).
Il racconto di un corteo del ’68 con Mario Capanna diventa una parabola evangelica: ad un manifestante in corteo, che esasperato dalle botte si lamentava con Capanna che il potere è forte, Mario rispondeva “No! Il potere non è forte, è fortissimo! E’ fortissimo perché noi rimaniamo chini, piegati verso terra […]”; ora, non so se Capanna abbia effettivamente pronunciato quelle parole, e non è neppure il fulcro del discorso: l’esperienza si fa parabola, con personaggi del tutto insoliti.
Anche le barzellette, impiegate particolarmente per deridere quanto nella chiesa Don Gallo combatte, seguono la struttura di una parabola: il conservatorissimo Giuseppe Siri, uno dei cardinali succedutisi a Genova durante il servizio di Don Gallo, finisce al centro di una barzelletta dove, trovandosi in paradiso, il Papa vede il cardinale Siri giocare da solo a pallone, cerca di salutarlo ma non ottiene risposta, al ché viene in suo soccorso San Pietro: “E’ convinto di essere in paradiso solo lui”, gli spiega. Così la barzelletta si fa parabola, la parabola si fa strumento di satira per riformare la chiesa.
Tanti sono i ricordi a succedersi: il vecchio ed austero salesiano che gli predice il futuro “Tu non sarai mai papa, con il tuo nome!” (Papa Gallo, pappagallo), che Don Gallo impiega per spiegare sarcasticamentela sua carriera fermatasi al titolo di “Vicario Parrocchiale”; le non nascoste antipatie per il “pastore tedesco” (Ratzinger), con il ricordo di papa Giovanni XIII a fare da controaltare; il racconto di come, interrogato da uno dei vescovi di Genova sui propri santi maggiormente venerati, esprimesse la sua predilezione per “i sette santi”, che con stupore del Vescovo si rivelavano però essere non già i sette santi fondatori dell’ordine dei servi della beata maria vergine, ma “i sette santi di Reggio Emilia” (anche qui, mi rifiuto di spiegare chi siano, se non lo sapete penitenziagite tramite google); il g8 e Piazza Alimonda; gli infiniti litigi e duelli con propri superiori ed eguali in Santa Romana Chiesa. Ma anche molte feroci e appassionate considerazioni politiche: lo sfruttamento del mondo da parte dell’occidente, un altro modello di sviluppo, la lotta No Tav, la vergogna dell’immigrazione, la condizione dei carcerati italiani, la legalizzazione delle droghe leggere, la parificazione sessuale delle donne, la riforma della chiesa.
Finito l’intervento/comizio, mentre gran parte della gente, me compreso, si dirigeva verso il luogo ospitante la cena, Don Gallo si sarebbe trattenuto per firmare ogni singolo libro che gli sia stato presentato: una fortuna per tutti coloro che avevano acquistato un suo libro al momento o che lo avevano portato da casa (ed una sfortuna per chi doveva aspettare la cena, graziato fortunatamente da un’ampia serie di stuzzichino ed antipasti!).
Ed è proprio la cena con Don Andrea Gallo, forse, ad essere il momento ancora più interessante della giornata; forse proprio perché, avendo avuto l’occasione straordinaria di sedermi vicino a lui ed ascoltare così i suoi dialoghi, si ritrova una dimensione ancora più autentica e non più mediata da quella “cassetta degli attrezzi” di cui sopra, e allora più che mai realizzi di avere di fronte a te una immensa fonte storica, capace di spaziare per ogni argomento. Molto tempo dedicherà, sollecitato da Rosario Montalbano, a parlare del grande Faber, di cui è stato uno degli amici più cari: una frase detta poco prima che morisse “Sai perché ti sono amico? Perché anche se sei prete non mi vuoi per forza mandare in paradiso”; il rapporto molto profondo rimasto con Dori Ghezzi e con Cristiano, senza nascondere anche gli aspetti più duri e meno eroici del cantautore, lui che come pochi altri poteva capire il senso delle sue canzoni, avulso dallo sciatto buonismo perbenista che avvolge oggi De André. Ricordi e anche e sopratutto discussioni sulla sua lotta per una “chiesa altra”, ricordi di altri presbiteri impegnati come lui, ma anche spunti teologici molto interessanti, come la questione del ruolo delle donne all’interno della chiesa. In chiusura, c’è anche spazio per il “dubbio” sulla morte di papa Luciani, fra la testimonianza diretta di un amico regista che, provando ad indagare nel suo paese natale, era stato prontamente “gentilmente invitato” ad andarsene dalle forze dell’ordine (?!).
Anche una chicca quando scopre che sono di Sel (dopo avermi fatto i complimenti per la mozione per la distribuzione di preservativi nelle scuole): “Sai che Vendola è un mio pupillo? L’ho conosciuto trent’anni fa, da Costanzo, quando era giovane e sconosciuto. Mi piacque subito. E’ sempre stato molto religioso, ed era molto legato a Don Tonino Bello, il Vescovo di Terlizzi, con cui ne parlai anche molto bene.”
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