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Antonio Pizzinato a Monza!

Antonio Pizzinato sarà a Monza il 7 Maggio alle ore 21, presso la Camera del Lavoro di Monza (Via Premuda 17), per presentare il suo ultimo libro “Viaggio al centro del lavoro“.
Riteniamo sarà un’ottima occasione per discutere del lavoro, uno dei temi più che mai centrali nel dibattito attuale a partire dalla crisi economica del 2008, con uno dei massimi protagonisti della storia sindacale italiana, proprio a cavallo fra la festa del Lavoro del 1 Maggio e l’assemblea costituente della sinistra dell’11 Maggio.

Introdurrà la serata Pietro Occhiuto, segretario FIOM provinciale.
Sinistra Ecologia Libertà Monza
Antonio pizzinato Libro_Layout 1
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I paradossi di un governo carnascialesco

C’era il tempo del governo “tecnico” di Mario Monti, che tecnico non era, ma coerentemente politico, un sano governo di centro-destra.
C’è oggi il governo “politico” di Enrico Letta, che politico non è, perché manca del tutto di progettualità, di un programma politico; un governo “composto da politici” certamente, ma senza la possibilità di essere politico esso stesso. E questo non è che il primo dei paradossi che caratterizzano questo governo.
D’altra parte nei giorni scorsi mentre impazziva il toto-ministri, non si parlava se non molto genericamente del programma di governo, una volta che i famosi “8 punti” sono parsi scomparire assieme a Bersani; così i più o meno candidati ai dicasteri apparivano del tutto intercambiabili, da uno schieramento all’altro: ad una Gelmini si poteva sostituire un Mario Mauro o una Maria Chiara Carrozza senza colpo ferire; i nomi rimanevano completamente slegati dalle politiche, come se il lavoro di un Ministero non vari a seconda del pensiero politico del relativo Ministro. Una visione, questa, molto “tecnica” della politica, volta a indurre la convinzione che la contrapposizione politica fra schieramenti ed idee sia superabile per il “bene comune” (per quanto inorridisca ad impiegare questo termine in tale contesto). Così, altro paradosso, il governo Letta in questo appare molto vicino, pure se speculare, al Movimento 5 Stelle: entrambi inducono a pensare che le contraddizioni politiche siano in qualche modo solo apparenti e comunque superabili, che in altre parole ci si possa mettere “tutti insieme appassionatamente” per trovare le giuste soluzioni al fine di uscire dalla crisi. La specularità deriva dal fatto che se il Movimento 5 Stelle ritiene che la categoria trasversale che si debba unire sia quella de “i cittadini”, il governo Letta ritiene sia la classe politica.
Così ci si ritrova un governo la cui Presidenza del Consiglio è, o dovrebbe essere, di Centro-Sinistra, ma i cinque dicasteri chiave, ovvero Interni, Esteri, Giustizia, Difesa e Finanze, sono tenuti da figure riconducibili alla destra. In cui il Ministro alle politiche d’integrazione ha posizioni presumibilmente molto avanzate, ma il Ministro degli Interni in materia di immigrazione sarà in linea con le politiche operate da Maroni. In cui Comunione e Liberazione si è accaparrata (è il termine esatto) due ministeri chiave per gli appalti pubblici, quello alla Difesa e alle Infrastrutture e Trasporti.
Lo stesso Letta deve essere ben consapevole della eterogeneità del governo, se come è stato evidenziato da molti sono state preferite figure politicamente e carismaticamente “deboli” a quelle più forti ed ingombranti.
Cosa potrà fare questo governo? Probabilmente nulla. O se fossi costretto a scommettere, punterei senza ombra di dubbio su politiche di austerità di destra in continuità col Governo Monti.
Come questo sia possibile, azzardo un’analisi: vi è oggi uno scollamento significativo fra “aree” politiche e formazioni partitiche di riferimento. Se in un sistema politico “sano” sarebbe giusto ed auspicabile che i due livelli combacino, nel nostro caso i due livelli sono profondamente discordanti. Anche prima dell’ingresso del Movimento 5 Stelle, che ha acuito ma non sconvolto il fenomeno.
Provo a spiegarmi: Vi sono in Italia, c’erano tre formazioni partitiche principali: il centro-destra, il centro, il centro-sinistra. Ora se n’è aggiunta una quarta, quella grillina, ancora indefinita, o meglio a mio parere di destra ma di una destra profondamente differente.
In questa la formazione di centro gioca il ruolo di “schermino”. Ovvero: noi ci ostiniamo a chiamare centro ciò che politicamente non esiste, ciò che, perlomeno in Italia, politicamente è destra. Nessuna analisi politica, per quanto spericolata, negherebbe che Casini e Monti siano di destra, per quanto possano per le più svariate ragioni costituire un polo separato da quello Pidiellino. Se ciò sembra esagerato, si pensi alla Prima Repubblica: la Democrazia Cristiana era la destra, senza se e senza ma; altra destra dal MSI, ma sempre destra.
Questa creazione artificiale di un centro altro dalla destra, ha portato ad una conseguenza: che la sinistra fosse centrosinistra. Ma non, come ha recentemente sostenuto Barca, solo nel nome: nelle persone e nelle correnti politiche. Ma questo, assumendo quanto sopra, ha semplicemente comportato un progressivo avvicinamento della principale formazione politica di sinistra alla destra. Il che spiega come una buona fetta di ex dirigenti e delfini democristiani possano oggi far parte del Pd (oggi il Giornale commentando il nuovo governo lo definisce proprio “un governo di Democristiani”), forse anche più che nel pdl e altrettanti che nel suddetto “centro”.
E non c’era d’altra parte migliore figura che incarnasse questo centro-sinistra poco sinistra e molto destra di Enrico Letta.

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Intervento in aula sul Documento d’Inquadramento

Il Documento d’inquadramento in discussione è per noi conferma del cambiamento operato da questa amministrazione nelle politiche urbanistiche. Conferma, non certo sorpresa, perché non è un elemento isolato ma è parte integrante di un processo che ha collettivamente e coerentemente interessato il tessuto urbano monzese, prima negli intenti del programma di mandato e nelle linee programmatiche esposte dall’Assessore Colombo, poi attraverso la loro declinazione nel reale: la revoca della variante al Pgt, il vincolo di Cascinazza e altre aree verdi a parco agricolo, e ora questo Documento d’inquadramento che ha il compito impegnativo di traghettarci adeguatamente verso il nuovo Documento di Piano.
Già questo è sufficiente a delineare un primo pregio di questo documento: costituire dei tasselli di un mosaico più ampio e coerente, svolgere appieno il proprio compito, di costituire una visione dello sviluppo urbanistico di questa città. Ecco, “visioni”: davvero crediamo che proporre e mettere in discussione una propria visione, un proprio scorcio prospettico sia il primo compito di un assessorato al territorio; per questo sosteniamo anche la scelta di individuare nel documento alcune specifiche aree dismesse che siano parte integrante di questa visione; non perché altre aree dismesse siano meno importanti, ma perché quelle individuate ne costituiscono i cardini: ben più facile e comodo sarebbe stato rinunciare a questo compito, ma assieme ad esso avremmo rinunciato anche ad essere veri urbanisti di questa città. Troviamo giusta e condivisibile la scelta, in tal senso, di considerare prioritari i due assi individuati dal Villoresi e dal fiume Lambro, dal momento che essi hanno rappresentato sia i due assi storici di sviluppo della città sia il cuore delle molte attività produttive che risiedevano a Monza, e dunque non vi sono luoghi migliori da dove ripartire per la rigenerazione di aree ormai dismesse.
La centralità, anzi l’esclusività, data alle aree dismesse da questo documento d’inquadramento è il secondo elemento di assoluto pregio: come Sinistra Ecologia Libertà ci siamo più e più volte spesi in Consiglio Comunale ribadendo la necessità di rigenerare le aree dismesse nel nostro tessuto urbano, e non possiamo che essere entusiasti di questa scelta. Ridare centralità alle aree dismesse vuol dire pensare a rigenerare l’esistente prima che costruire il nuovo: è svolgere politiche ambientali ma anche allo stesso tempo sociali. Un’area dismessa è un’area sottratta alla collettività, un’area che contribuisce al degrado del tessuto urbano, è un spazio morto che grava sulla vita cittadina; ciascuna area dismessa è un nodo spento della città in rete: andando a rigenerarlo questo torna a contribuire all’efficenza complessiva della rete. Ogni intervento di tal genere è chiaramente complesso e multidimensionale, certamente più dispendioso sia per l’amministrazione che per gli operatori.
Terzo elemento di notevole pregio di questo documento è porre gli interessi della collettività come perno del proprio agire. Noi crediamo che questa amministrazione abbia svolto un compito difficile ma necessario, calcolare quello che potrebbe essere definito il massimo contributo possibile da parte degli operatori, alzando l’asticella costituita dall’interesse collettivo fin dove fosse possibile farlo. Siamo consapevoli che le richieste dell’amministrazione comunale devono naturalmente essere compatibili con quelle che sono le condizioni di mercato, ma ci pare che degli interessamenti già in atto nei confronti di alcune aree dimostrino che queste condizioni si stia riuscendo a rispettarle. Ma crediamo anche fortemente nella necessità, tanto più in tempi di crisi economica, che l’amministrazione comunale faccia l’amministrazione comunale, ed esiga standard di qualità elevati.
Assieme alla richiesta di standard di qualità, un altro elemento è costituente di quella centralità dell’interesse collettivo di cui sopra: la decisione di non procedere a monetizzazione degli standard. Fino ad oggi sono monetizzati 183.000 mq di terreno a standard in cambio di 11 milioni di €, fenomeno nell’ambito del quale l’amministrazione è intervenuta anche con una delibera, la n. 559 del 11/10/2012. Quella di non monetizzare gli standard è una scelta innanzitutto politica che rivendichiamo con orgoglio, in quanto più amministrazioni comunali, davanti alle necessità imposte dai bilanci, hanno deciso di monetizzare per risanare le casse comunali, a svantaggio proprio dei cittadini e della collettività che si vedono così privati di spazi a verde e di importanti interventi di qualità nel proprio tessuto urbano. Noi no. Noi abbiamo percorso la strada più difficile, più coraggiosa, perché anche di fronte alle difficoltà economiche non si può contrapporre come fosse un aut-aut il bilancio all’ambiente ed alla qualità di vita dei cittadini. Questo per noi è grande motivo di vanto.

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Visita al carcere di Monza. Breve report.

Un breve report della [breve] visita alla Casa Circondariale di Monza avvenuta venerdì 12 Aprile, dalle 11.00 circa (in realtà è iniziata alle 11.30) alle 13.30 circa.
Innanzitutto l’amara e preliminare considerazione della perifericità geografica della casa circondariale. Chi volesse raggiungerla a piedi, come ho fatto io, addirittura è costretto a scegliere se fare l’ultimo pezzo di via Marconi prima di via San Quirico nel fango o nell’erba alta, in quanto pure il marciapiede misteriosamente sparisce per un tratto non indifferente. Scelte queste figlie di una logica igienista e negazionista, di cui anche la nuova casa circondariale di Monza è stata investita.
Ero stato preavvisato di lasciare il cellulare a casa dunque non lo ho dovuto lasciare al primo ingresso come gli altri colleghi. Il primo fatto degno di nota è proprio lì, quando io e Paolo Piffer, collega consigliere che per lavoro frequenta abitualmente la casa circondariale, aspettiamo per un quantitativo di tempo non indifferente che si apra la porta automatica davanti a noi: Paolo un poco sbuffando commenta “Metà del tempo la passi dietro le porte…”. Altra peculiarità simile della visita sarà che non troveremo un orologio funzionante: tutti fermi, tutti ad orari differenti. La direttrice a nostra domanda risponderà di non essersene mai accorta, che non sa il perché, è un caso, probabilmente non funzionano a pile.
La visita purtroppo ha riguardato solo i due edifici interni al carcere ma antistanti le sezioni vere e proprie, e la sezione femminile. La visita non ha proseguito in quella che realisticamente è la parte più problematica e degradata, ovvero le sezioni.
La visita è stata comunque significativa, in quanto sono diversi gli aspetti relativi alla vita e sopratutto alla possibile qualità di essa in carcere.
Particolarmente rilevante è stata la visione delle attività produttive all’interno del carcere, quale la falegnameria, la lavanderia e la legatoria (che non versa però in ottime acque veniva detto). Vi lavorano alcuni detenuti grazie ad alcune cooperative. Credo che sia sopratutto in questo ambito, quello del lavoro, che il Comune possa intervenire, attraverso commesse a tali cooperative e alla creazione di possibili borse lavoro.
Le difficoltà del carcere e le condizioni degradanti dei detenuti sono comunque venute alla luce, in particolare credo su due aspetti: il sovraffollamento che è stato evidente anche nella visione delle sole celle nel reparto di Osservazione, in cui i carcerati sono detenuti temporaneamente, e che può solo essere ancora peggio nelle sezioni vere e proprie, e l’evidente pessimo stato in cui versava la struttura del carcere, con tratti significativi di mura marce a causa di infiltrazioni d’acqua, negli spazi comuni di lavoro come nei corridoi e dunque, a logica, nel resto dell’edificio.
Quella che invece è un’eccellenza, di cui le dipendenti comunali per prime sono orgogliose, sono alcuni uffici comunali tenuti dentro al carcere, quale quello anagrafe, di cui possono usufruire i detenuti, unico caso in Italia.
Nel Consiglio Comunale di Lunedì 15 Aprile l’assessore Bertola ha comunicato due notizie importanti a latere della visita: l’istituzione, finalmente, del Garante dei diritti dei detenuti, e la riconvocazione da parte del Comune di Monza del Tic, tavolo interdistrettuale carcere.
In ultimo, allargando lo sguardo dal piano locale a quello nazionale, segnalo le tre proposte di legge proposte da Sel in parlamento per introdurre il reato di tortura, abolire il reato di clandestinità, abolire la ex Cirielli. Perché non ci si può indignare per le condizioni di vita nelle carceri se non si lotta prima per cancellare le leggi e le carcerazioni ingiuste.

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Mozione: politiche per la diffusione ed il sostegno alla street art

Ecco la Mozione presentata in Consiglio Comunale lo scorso lunedì in merito a politiche di sostegno e diffusione della street art, dopo l’intervento compiuto sull’argomento il giovedì precedente.
Non un atto isolato ma un percorso comune che per noi deve portare ad un sempre maggiore meticciamento fra arte e tessuto urbano, fra socialità e luoghi architettonici.

Mozione: politiche per l’individuazione di spazi per la street art

Premesso che la spray art, e più in generale la street art, realizza contaminazioni fra tessuto urbano e espressione artistica, che permettono il recupero di inestetismi urbani, di non luoghi.

Considerato che la spray art contribuisce alla qualità di vita della città e dei suoi cittadini, in quanto valorizza le espressioni artistiche, migliora l’aspetto estetico della città, libera le aspirazioni dei giovani e non; che possiede anche una funzione sociale essendo arte popolare in posti privi di umanità, non luoghi, che diventano supporti per messaggi.

Valutato che un approccio al fenomeno del writing come problema di ordine pubblico è distorcente e non tiene conto del sopraddetto valore artistico, sociale, aggregativo dell’arte urbana. Che tale approccio, oltre ad essere dannoso per la città, è inefficace a contenere o eliminare la diffusione di tags e graffiti, come dimostrano tali tentativi securitari falliti in molte città italiane.

Riscontrato che un ruolo attivo dell’amministrazione comunale nella gestione del conflitto fra graffiti/street artists e comunità di residenti ha portato a risultati significativi nei campi sopradescritti, come ad esempio il “Mural Arts Program” di Philadelfia. Che nell’esempio di Philadelfia, l’arte urbana e i graffiti realizzati sulla base di tale progetto sono arrivati a costituire uno dei maggiori elementi di attrazione turistica della città, evidenziando anche una potenziale funzione turistico-commerciale.

Si impegna la giunta a
– Individuare, attraverso le modalità ritenute più opportune e con i relativi adempimenti burocratici, alcuni spazi, il più possibile diffusi per il tessuto urbano nella città di Monza, impiegabili per opere di arte urbana muraria e graffiti; coinvolgere nella scelta dei luoghi le comunità residenti.
– Assumere un ruolo attivo, come amministrazione comunale, di intermediario nel conflitto esistente fra writers e comunità di residenti e negozianti favorendo il dialogo, al fine di creare percorsi partecipati e inclusivi dal basso che cooperando permettano la realizzazione di altre opere di arte urbana su luoghi residenziali o commerciali (serrande).
– Considerare l’arte urbana e la graffiti art come soluzione alternativa nei progetti di riqualificazione e manutenzione degli spazi pubblici da parte del comune.
– Contribuire alla conoscenza e diffusione della spray art e della street art organizzando eventi culturali e artistici e inserendola in eventi già esistenti o programmati.

Alessandro Gerosa – Sinistra Ecologia Libertà
Elio Bindi – Partito Democratico

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Facciamo pulizia per spazi migliori [ma non asettici]!

Questa domenica, 7 Aprile, a Monza si terranno le “pulizie di primavera”.
Un’iniziativa che ha raccolto un’adesione vastissima e ben meritata, che superato le stesse aspettative dell’amministrazione e che è arrivata a mettere in difficoltà la stessa macchina amministrativa per il carico di associazioni e cittadini che hanno presentato progetti e si sono offerti di partecipare.
L’idea è semplice: traslare le tradizionali pulizie di primavera dall’ambito domestico a quello urbano; invitare cioè tutti i cittadini a contribuire a pulire e migliorare la città con un impegno in prima persona.
E’ un’iniziativa che non può che trovare il nostro plauso per diverse ragioni: oltre all’implicito miglioramento dei luoghi/spazi della nostra città, sarà un’occasione importante di aggregazione e socialità, di conoscenza reciproca fra le varie realtà associative del territorio e fra queste e i cittadini, un’importante esperienza di cittadinanza attiva e, non ultimo, un’applicazione concreta dell’obbiettivo politico, che è e deve rimanere uno dei capisaldi di un’amministrazione di Centro-Sinistra, di elevare lo spazio urbano a spazio collettivo aperto di vita e socialità, in contrapposizione, o meglio in concorrenza, allo spazio domestico chiuso.
Nel Consiglio Comunale di ieri, a margine di queste considerazioni senz’altro positive, ho segnalato un “rischio degenerativo” nel concetto di pulizia, auspicando che l’amministrazione non vi cedesse: passare dalla pulizia ad una “vocazione igienista”, all’intento di creare uno spazio asettico, che invece che arricchire la città di una riscoperta bellezza la impoverisca. Ho tratteggiato un paragone con le pulizie domestiche, sperando di aver colto nel segno: come nessuno butterebbe, per far pulizia, dei bei quadri, così ho auspicato che non vadano cancellate non le “tag” o scritte, ma quelle espressioni artistiche di valore che sono diffuse nella città ad opera di tanti anonimi autori che hanno permesso all’arte di meticciarsi con lo spazio urbano non meno di analoghe iniziative culturali avallate dal comune.
Posso dirmi ancora una volta soddisfatto della risposta del Sindaco che nello stesso Consiglio Comunale ha precisato che quanto sarà oggetto di cancellatura saranno le scritte e le tag deturpanti l’ambiente urbano.

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Articolo per TuaMonza|Marzo 2013

Ecco l’articolo del gruppo consiliare di Sel per TuaMonza, numero di Marzo 2013.
Lasciare il segno
Come Sinistra Ecologia Libertà abbiamo portato il nostro contributo alla realizzazione del programma steso e sottoscritto in campagna elettorale con i cittadini monzesi tramite il lavoro costante in Consiglio e nelle Commissioni di questi primi mesi.
Ma abbiamo anche fatto di più: sono molte le mozioni che abbiamo portato in Consiglio Comunale e che sono state approvate. Mozioni che hanno voluto approfondire e valorizzare i temi a noi più cari del progetto di governo per Monza.
In soli otto mesi, come Sel attraverso delle mozioni abbiamo fatto aderire Monza ad Audis, associazione per la rigenerazione delle aree urbane dismesse, che porterà un contributo importante per il reimpiego urbanistico delle aree dismesse della nostra città (a partire dall’attuale documento d’inquadramento e del prossimo documento di piano). Abbiamo fatto applicare la legge 29-1-1992, che obbliga a piantumare un albero per ogni nuovo neonato nato. Abbiamo ottenuto che il comune si impegni per favorire la diffusione di profilattici all’interno delle scuole per la prevenzione di malattie sessualmente trasmissibili. Abbiamo reso il sito del comune di Monza, quindi i suoi contenuti, sotto licenza Creative Commons invece che sotto licenza di Copiright. Infine abbiamo ottenuto con una mozione ad ampio numero di firme di istituire anche a Monza, primo comune della Brianza, un registro per le unioni civili, etero e omosessuali, come già fatto a Milano.
Questi traguardi, nei primi 8 mesi della nuova amministrazione, per segnare il senso della nostra presenza in consiglio: una presenza sempre attiva ed in prima linea nell’ampliare e contribuire a realizzare il programma comune di governo per Monza ed i Monzesi, nei primi mesi come per tutti i cinque anni di consiliatura.
Alessandro Gerosa – Sinistra Ecologia Libertà

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Assemblea col comitato S. Albino. Appunti e riflessioni

Ci sono momenti in cui senti sulle tue spalle tutta la responsabilità del tuo incarico politico. Incontri come quello di ieri sera in Cascina Bastoni con i cittadini del comitato S. Albino, tanti, venticinque circa (anche pochi, a detta loro), assieme ai consiglieri Pilotto, Monteri e Guarnaccia.
La senti sulle tue spalle perché in tre ore di assemblea pubblica diventi in qualche modo partecipe dell’esasperazione che si avverte in quella sala e che ti accorgi bene essere un vissuto quotidiano che in quell’occasione di dialogo con “le istituzioni” troppo spesso assenti trova sfogo.
Non è questione di “volere tutto e subito” è questione di dover far fronte di un abbandono delle passate amministrazioni a sé stessi durata troppi anni. A noi sta riuscire ora a recuperare nel minor tempo, politico e tecnico-burocratico, la presenza dell’amministrazione e della sua funzione nel quartiere Sant’Albino.
Capisci che lì l’amministrazione ha fallito (o ha voluto fallire) quando ti si dice che i cittadini del quartiere impiegano, per le attività quotidiane, i servizi di S. Damiano (frazione di Brugherio!), e per contrasto ti si descrive il deserto dove l’unico luogo-spazio di incontro e aggregazione rimasto è l’oratorio.
Questa assemblea è stata anche spossante, perché è umanamente difficile se non impossibile racchiudere adeguatamente i problemi di un quartiere, che coinvolgono la collettività come i singoli individui, in un’assemblea sola; ti verrebbe voglia, alla fine, non di parlare come finisci a fare per qualche minuto con alcuni, ma di prenderti una birra o un’aranciata con ciascuno per discutere e ragionare meglio del problema da lui esposto. Insomma, l’effetto tritacarne è un rischio concreto ed è difficile in alcuni punti cercare di mantenere sempre il filo unendo ciascun punto in quadro complessivo e complesso.
Adesso un’analisi più specifica delle problematiche emerse, con riflessioni annesse.
Innanzitutto una “nota metodologica”: io cerco sempre di mantenere un approccio molto “sincero” nei rapporti con realtà del territorio come comitati, associazioni, etcetera. Ovvero parto dal presupposto che si è due realtà portatrici di visioni generali e particolari sulla nostra città, più o meno in difformità (se fossero in completa unità non avrebbero ragione di essere due realtà differenti) che attraverso un dialogo e confronto contaminano meticciando le reciproche visioni, arricchendo entrambe le posizioni e arrivando, nel caso auspicabile, ad una mediazione e gestione della difformità. Non pretendo di “avere ragione” rispetto alle idee altrui né parto dal presupposto di “dover dar ragione” alle idee altrui. In questo caso in particolare ho acquisito e sono stato contaminato da una serie di casistiche specifiche e particolari riguardanti un quartiere a me poco noto (per i miei percorsi di vita) che ho provato a porre in relazione con quella che è la nostra (mia e di Sel) visione complessiva della città.
I problemi segnalati durante l’incontro afferivano a due campi in particolare: il campo della viabilità/mobilità, ed il campo del tessuto sociale-aggregativo di quartiere (nel quale faccio rientrare anche il tema partecipazione).
In particolare nel campo della viabilità/mobilità si possono distinguere le problematiche in base all’ordine di grandezza: vi è un problema più “macroscopico” ovvero la questione della viabilità su Viale delle Industrie/Via G. Battista Stucchi, in particolare in corrispondenza della rotonda (ma non solo, vista l’alta frequenza di incidenti anche all’incrocio con via Nievo, ad esempio) interessata qualche mese fa da un tragico episodio che ha portato alla morte di un ragazzo in bicicletta, attraverso la proposta di messa in essere di un attraversamento ciclo-pedonale in attesa dell’interramento definitivo. In merito vi è già una proposta di Mozione presentata dal Cons. Pilotto e vi è anche stato l’impegno assunto dal sindaco e dall’assessore Marrazzo, in occasione dell’incontro pubblico del 21 Dicembre scorso, di aprire un tavolo tecnico riguardante tale situazione. Ho anche segnalato che, come forza politica, il nostro commissario si sta informando per avere i dati su incidenti e simili non solo nella rotonda ma come sopra accennato anche nella viabilità circostante, per poter disporre di un quadro più complessivo.
Vi sono poi una serie di interventi a livello “microscopico”, ma che sono in una quantità tale da renderli un problema sentito e sensibile: una serie di interventi di manutenzione stradale che vanno dall’attivazione di un semaforo che non permette ad un pullman di compiere una nuova, più efficiente, tratta, allo spostamento degli spazi di affissione comunali in luoghi più leggibili e fruibili alla cittadinanza, ad una “rotondina” terminata e non ancora aperta, etcetera. In merito io ho proposto di raccogliere tutti questi interventi in una raccomandazione, che evidenzi anche la valenza politica di tali atti, da presentare in Consiglio e della quale poi chiedere i tempi di realizzazione. La proposta è in discussione con gli altri consiglieri presenti all’incontro.
Il secondo tema uscito con forza è quello di un tessuto urbano sociale-aggregativo che oggi manca in tutta evidenza. Mancano a Sant’Albino luoghi di aggregazione e socialità formali ed informali, che costituiscono di norma i nodi della rete di socialità di un quartiere (e a livello più ampio della città).
Questi nodi vanno dal centro civico (che questa amministrazione ha finalmente inaugurato e a cui oggi bisogna dare vita) a luoghi informali ma potenzialmente altrettanto significativi come un mercato rionale, un locale/pub, un chiosco in una piazza. In questo campo è chiaro che l’intervento dell’amministrazione è più complesso e dalle competenze non altrettanto definite, ma credo che si debba partire valorizzando e dando vita al centro civico che esiste già in maniera da riattivare perlomeno un nodo focale del tessuto di quartiere di cui sopra, favorendo poi la nascita di una reale rete attorno ad esso (e dunque di altri e nuovi nodi). Sul centro civico il comitato ha una propria proposta di attività, piuttosto dettagliata, che mi sono premurato di farmi inviare e che credo possa costituire la base di un dialogo con l’amministrazione per la sua massima valorizzazione.
Rispetto alla partecipazione delle consulte di quartiere ho informato della tempistica prevista dall’assessorato lasciando, come di dovere, l’esposizione e la discussione di contenuto alle assemblee pubbliche che verranno organizzate nei quartieri dall’assessorato per discutere la proposta dell’amministrazione.
In chiusura, mi piacerebbe fare un ragionamento però complessivo sulle tematiche segnalate dal comitato. Ovvero: i due grandi temi, viabilità-mobilità e tessuto sociale-aggregativo di quartiere, non sono a ben vedere due temi separati ma sono riconducibili ad un rapporto esistente unico, ovvero quello di centro-periferia. Come ho avuto modo di dire ieri, oggi S. Albino è nella triste condizione di essere “periferia della periferia”: è periferia in quanto parte, come Comune di Monza, dell’area metropolitana milanese, ed è però anche periferia di Monza.
Provando qui a sviluppare questo secondo concetto, di S. Albino come periferia di Monza, credo che se l’obbiettivo politico a cui tendere è trasformare nel lungo periodo il rapporto periferia-centro in un rapporto quartiere-quartiere (o perlomeno avvicinarcisi), allora risolvere i due ordini di problemi sopra esposti significa agire sui due fronti funzionali a questo processo. In altre parole, il rapporto centro-periferia si esplica oggi fra S. Albino e il centro città (o proprio Monza, come viene significativamente detto da alcuni cittadini) sul piano geografico, ovvero di distanza fisica, e sul piano sociale-aggregativo; se andando ad incidere sulla efficienza della viabilità andiamo a ridurre la forbice nell’ambito geografico di questo rapporto, andando a dare vita a nuovi nodi della rete di cui sopra riduciamo la forbice nell’ambito sociale-aggregativo di questo rapporto. Dobbiamo cercare, insomma, di lavorare di pari passo in entrambi gli ambiti: uno solo non basta, se vogliamo evitare di creare un quartiere collegato viabilisticamente ma “morto” (i famosi quartieri dormitorio) o un quartiere con un’efficiente tessuto urbano ma scollegato dal resto della città. Chiaro, entrambi rispetto ad oggi sarebbero un passo avanti, ma credo che, almeno nella progettualità, si debba sempre mantenere una visione quanto più organica.
EDIT: Ringrazio il comitato S. Albino per aver ripubblicato i miei appunti della serata sul loro blog, con un cappello introduttivo che qui riporto perché ne sono orgoglioso. Spero di poter ricevere un tale giudizio anche dopo che la nostra interlocuzione sarà proseguita.

Pubblichiamo gli appunti di Gerosa che abbiamo tratto dal suo blog. E’ stato da noi ieri sera fino a mezzanotte. Come gli altri consiglieri presenti ha dovuto accogliere e sopportare la stanchezza, la frustrazione e anche la rabbia che nel nostro quartiere si sono sedimentate in decenni. Ma ha trovato il tempo e la voglia di scrivere questa restituzione. Come Comitato dobbiamo rilevare che la politica può essere anche una cosa molto degna di rispetto.

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Un popolo in marcia

“I popoli in rivolta scrivono la storia, No Tav fino alla vittoria”.
Un coro scandito più volte al corteo di sabato, un coro che racchiude una profonda verità: quello che la lotta no tav è realmente una lotta di popolo, è la rivolta collettiva di una valle di irriducibili.
Senza retoriche, senza rappresentazioni mitiche, è una sensazione che avverti subito quando raggiungi il concentramento. Sei nella periferia (intesa come parte del binomio centro-periferia regionale), lontanissimo da perni politici pulsanti quali Torino o Milano, eppure respiri un movimento di popolo reale e radicato, che leggi nelle facce delle signore e signori che tengono i gazebo con squisiti panini al lardo e (ottimi) bicchieri di rosso, nei banchetti che vendono cibi e bottiglie di vino “no tav”.

Sotto il comunicato stampa da notav.info e il servizio del Tg3 nazionale (ad un certo punto potete anche vedermi sfilare inconsapevolmente davanti alla telecamera telecamera)

Se ce n’era bisogno la Valsusa lo ha dimostrato ancora una volta, in 80.000 al corteo che da Susa e arrivato a Bussoleno il popolo notav si è fatto vedere, baldo e fiero, con l’orgoglio della sua lotta e delle sue ragioni.

Una giornata densa di avvenimenti, iniziata presto che saputo esemplificare il senso di questa battaglia che non lascia scoperto nessun campo di lotta. Al mattino ispezione al cantiere con i parlamentari notav del Movimento 5 Stelle e di Sel, accompagnati dai tecnici ed esperti della Comunità Montana e da tre attivisti notav che hanno sfidato gli aut aut di Ltf e Questura.

A metà mattina il convegno organizzato dagli amministratori della Valle con la partecipazione di moltissimi aministratori di tutta Italia e da Laura Puppato e Michele Emiliano del Pd a testimoniare la profonda crepa che si sta allargando nel Pd. Il buon senso di chi amministra città e paesi contrapposto all’assurdità dei centri di potere e della politica del palazzo, ultimi superstiti del fronte sitav, quelli che ce lo chiede l’Europa e del non possiamo essere tagliati fuori.

E poi la manifestazione con l’espresisone collettiva di un popolo in marcia che si è trasformato in movimento di lotta da tempo, determinato e cosciente della propria forza e delle proprie ragioni. 8 kilometri sotto la pioggia, 80.000 uomini donne e bambini in marcia per difendere il nostro futuro, con la partecipazione di molti notav provenienti da tutta Italia.

Una giornata da ricordare, che testimonia che se il clima in qualche modo è mutato, fermarlo è sempre più possibile e fermarlo tocca sempre a noi!

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Marò che maccheronata!

Teribbile. Si dovesse riassumere in una parola la figura fatta dall’Italia sul caso dei due Marò lo farei così, rigorosamente con una r e due b.
Ora, la questione più propriamente di diritto internazionale la lascio a chi ne sa più di me, che è argomento complesso e per esperti del settore (consiglio caldamente di leggere gli articoli ai due link e anche la corposa mole di commenti al primo).
Quella dei marò è una vicenda però anche, e forse ancor più, politica.
Ed è qui che la politica italiana ha fallito miseramente.
L’Italia, nel merito, oserei dire che ha deliberatamente deciso, con l’atto iniziale di non far rientrare i marò in India come previsto, di schiacciare la soluzione giuridica del conflitto con quella politica: secondo il vecchio principio per cui del diritto internazionale, nella sostanza, lo stato più forte può infischiarsene, dato il principio dell’autotutela. L’Italia ha giocato questa carta: il non irrilevante problema che non si era posta è se fosse effettivamente l’attore più forte.
Credo che la soluzione politica alla vicenda sia arrivata da un cedimento di Terzi al pressing sempre più incessante che la destra para-fascistoide nel Pdl stava portando avanti da mesi (gli sbraiti dei fascisti del terzo millennio e affini sono divertenti ma non trovo siano ritenuti degni di nota); questo andava d’altra parte a braccetto con una campagna mediatica patriotticheggiante, monocorde sui canali governativi e mediaset, i quali mistificavano completamente la realtà e si sono anche esibiti in casi fin troppo accademici di servizi atti a influenzare indirettamente l’opinione pubblica sul caso: pochissimi giorni fa sul tg di Rai 2, subito dopo un servizio sui marò “che sarebbero rimasti in Italia”, un servizio su due italiani detenuti nelle carceri in India per un omicidio, nel quale si suggeriva neppure troppo velatamente la presunta ingiustizia del processo e la conseguente ingiustizia della carcerazione dei due italiani (a cui a prescindere va la mia solidarietà, scontare un ergastolo nelle carceri indiane non lo auguro a nessuno).
Il problema è che non si è calcolata la reazione. Si è pensato, probabilmente, che l’India si lamentasse, si incazzasse, ma che, secondo la dottrina sopra riportata, ciò poco potesse tangerci, tanto più con la copertura che l’Italia possiede in termini di reti e alleanze internazionali.
Ciò che non si è calcolato è che se in Italia l’indignazione per i due marò è stata sentita dalle alte cariche dello stato, da nazionalisti/patriottardi e da fascistaglia più o meno orgogliona e pochissimi altri, in India c’è stato un vero sommovimento popolare, con tanto popo’ di manifestazioni di cittadini incazzati neri.
In sostanza non si è calcolato che la mobilitazione popolare vera avutasi in India, a differenza di quella solo costruita in Italia, ha portato la classe politica indiana alla necessità di assumere decisioni anche drastiche pur di salvare la faccia davanti alla popolazione elettrice.
Qui risiede a mio parere l’errore più grande, in quanto non era difficile vedere tale differenza.
In India l’odio verso due militari che hanno ammazzato due pescatori poveracci, accresciuto dal trattamento da veri pascià di cui dispongono in India (guest house e hotel di lusso, menù preparati appositamente per loro a base di specialità italiane pagati dai contribuenti indiani) nonostante la retorica italiana che li vorrebbe dietro e sbarre, si interseca e si fonde con uno spirito patriottico molto più sentito che da noi, riassunto bene nel concetto “non si può far pippa”: l’India è fra gli egemoni a livello regionale ed è una delle “nuove” potenze mondiali assurte dal novero degli stati in via di sviluppo; è chiaro che l’India viva (1) da parte della classe politica la necessità di dimostrare continuamente il proprio prestigio, la propria rilevanza e la propria forza, per affermare il proprio pieno diritto a sedere fra le potenze mondiali; (2) una notevolmente maggiore mobilitazione popolare in difesa dell’onore, o del prestigio, della propria nazione per i motivi sopraddetti, tanto più se nei confronti di una “vecchia” potenza mondiale come l’Italia.
Tutti elementi che in Italia non sussistevano.
Aggiungiamoci che Sonia Ghandi, la presidente del partito del congresso indiano, è Italiana, e dunque tanto più necessario diventava essere inflessibili per scacciare le sempre più insistenti voci di accondiscendenza per questioni…di origine.
A questo punto la mossa indiana si è rivelata quasi obbligata ma anche decisiva: la scelta di impedire all’ambasciatore italiano di rientrare in Italia era una spudorata violazione dei più basici principi di diritto generale internazionale, ma anche l’India aveva evidentemente deciso di abbandonare, almeno momentaneamente, il campo del diritto per quello della politica, rilanciando sulla mossa italiana, decisa a scoprire il bluff.
E l’Italia ha scoperto il suo bluff.
Non più disposta a rilanciare sul piano politico, forzando l’uscita dell’ambasciatore dall’India, credo anche per la nuova consapevolezza acquisita della reale pressione popolare sul governo indiano, è rimasta vittima della sua stessa trappola: si è limitata ad appellarsi alla violazione del diritto internazionale. L’Europa ha fatto eco della dichiarazione italiana, in modo a dire il vero poco convinto, e allo stesso modo gli Stati Uniti, in modo ancora meno convinto (l’Italia è un stato fedele sotto l’ombrello Nato, e tale sarebbe comunque rimasto, l’India è una potenza regionale e mondiale con cui fare i conti). L’india ha significativamente risposto: “Embé?”, e a quel punto il bluff italiano è definitivamente ed ingloriosamente crollato.
La motivazione poi ufficiale di Terzi, “Abbiamo così garantito che ai due Marò non sia applicata la pena di morte”, oltrepassa abbondantemente la soglia del ridicolo: il rischio della pena di morte dei marò non c’è proprio mai stata.
Innanzitutto nessun politico indiano, per quanto spinto dalle masse inferocite, giustizierebbe due militari italiani senza pensare di avere a quel punto sì ripercussioni davvero pesanti. Secondariamente, la pena di morte in India è ormai raramente applicata: è stata sentenziata in due casi in tutto l’arco del XXI secolo (per intenderci gli Usa, che hanno 1/4 degli abitanti indiani, nel solo 2012 hanno giustiziato 43 individui), una volta nel caso di una strage di 150 persone da parte di un terrorista Pakistano (la peggior combinazione possibile se sei in India), nell’altra in un caso efferatissimo di stupro e successivo assassinio di una ragazzina minorenne. Pensare una simile pena per due marò che fino ad ora son stati trattati con tutti gli onori è fantascienza, a cui non crede neppure Giulio Terzi.