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In Consiglio In vetrina Monza

Articolo per TuaMonza|Marzo 2013

Ecco l’articolo del gruppo consiliare di Sel per TuaMonza, numero di Marzo 2013.
Lasciare il segno
Come Sinistra Ecologia Libertà abbiamo portato il nostro contributo alla realizzazione del programma steso e sottoscritto in campagna elettorale con i cittadini monzesi tramite il lavoro costante in Consiglio e nelle Commissioni di questi primi mesi.
Ma abbiamo anche fatto di più: sono molte le mozioni che abbiamo portato in Consiglio Comunale e che sono state approvate. Mozioni che hanno voluto approfondire e valorizzare i temi a noi più cari del progetto di governo per Monza.
In soli otto mesi, come Sel attraverso delle mozioni abbiamo fatto aderire Monza ad Audis, associazione per la rigenerazione delle aree urbane dismesse, che porterà un contributo importante per il reimpiego urbanistico delle aree dismesse della nostra città (a partire dall’attuale documento d’inquadramento e del prossimo documento di piano). Abbiamo fatto applicare la legge 29-1-1992, che obbliga a piantumare un albero per ogni nuovo neonato nato. Abbiamo ottenuto che il comune si impegni per favorire la diffusione di profilattici all’interno delle scuole per la prevenzione di malattie sessualmente trasmissibili. Abbiamo reso il sito del comune di Monza, quindi i suoi contenuti, sotto licenza Creative Commons invece che sotto licenza di Copiright. Infine abbiamo ottenuto con una mozione ad ampio numero di firme di istituire anche a Monza, primo comune della Brianza, un registro per le unioni civili, etero e omosessuali, come già fatto a Milano.
Questi traguardi, nei primi 8 mesi della nuova amministrazione, per segnare il senso della nostra presenza in consiglio: una presenza sempre attiva ed in prima linea nell’ampliare e contribuire a realizzare il programma comune di governo per Monza ed i Monzesi, nei primi mesi come per tutti i cinque anni di consiliatura.
Alessandro Gerosa – Sinistra Ecologia Libertà

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WSF Tunisi – Sinistra Ecologia Libertà

WSF Tunisi – Sinistra Ecologia Libertà.

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In vetrina Monza

Assemblea col comitato S. Albino. Appunti e riflessioni

Ci sono momenti in cui senti sulle tue spalle tutta la responsabilità del tuo incarico politico. Incontri come quello di ieri sera in Cascina Bastoni con i cittadini del comitato S. Albino, tanti, venticinque circa (anche pochi, a detta loro), assieme ai consiglieri Pilotto, Monteri e Guarnaccia.
La senti sulle tue spalle perché in tre ore di assemblea pubblica diventi in qualche modo partecipe dell’esasperazione che si avverte in quella sala e che ti accorgi bene essere un vissuto quotidiano che in quell’occasione di dialogo con “le istituzioni” troppo spesso assenti trova sfogo.
Non è questione di “volere tutto e subito” è questione di dover far fronte di un abbandono delle passate amministrazioni a sé stessi durata troppi anni. A noi sta riuscire ora a recuperare nel minor tempo, politico e tecnico-burocratico, la presenza dell’amministrazione e della sua funzione nel quartiere Sant’Albino.
Capisci che lì l’amministrazione ha fallito (o ha voluto fallire) quando ti si dice che i cittadini del quartiere impiegano, per le attività quotidiane, i servizi di S. Damiano (frazione di Brugherio!), e per contrasto ti si descrive il deserto dove l’unico luogo-spazio di incontro e aggregazione rimasto è l’oratorio.
Questa assemblea è stata anche spossante, perché è umanamente difficile se non impossibile racchiudere adeguatamente i problemi di un quartiere, che coinvolgono la collettività come i singoli individui, in un’assemblea sola; ti verrebbe voglia, alla fine, non di parlare come finisci a fare per qualche minuto con alcuni, ma di prenderti una birra o un’aranciata con ciascuno per discutere e ragionare meglio del problema da lui esposto. Insomma, l’effetto tritacarne è un rischio concreto ed è difficile in alcuni punti cercare di mantenere sempre il filo unendo ciascun punto in quadro complessivo e complesso.
Adesso un’analisi più specifica delle problematiche emerse, con riflessioni annesse.
Innanzitutto una “nota metodologica”: io cerco sempre di mantenere un approccio molto “sincero” nei rapporti con realtà del territorio come comitati, associazioni, etcetera. Ovvero parto dal presupposto che si è due realtà portatrici di visioni generali e particolari sulla nostra città, più o meno in difformità (se fossero in completa unità non avrebbero ragione di essere due realtà differenti) che attraverso un dialogo e confronto contaminano meticciando le reciproche visioni, arricchendo entrambe le posizioni e arrivando, nel caso auspicabile, ad una mediazione e gestione della difformità. Non pretendo di “avere ragione” rispetto alle idee altrui né parto dal presupposto di “dover dar ragione” alle idee altrui. In questo caso in particolare ho acquisito e sono stato contaminato da una serie di casistiche specifiche e particolari riguardanti un quartiere a me poco noto (per i miei percorsi di vita) che ho provato a porre in relazione con quella che è la nostra (mia e di Sel) visione complessiva della città.
I problemi segnalati durante l’incontro afferivano a due campi in particolare: il campo della viabilità/mobilità, ed il campo del tessuto sociale-aggregativo di quartiere (nel quale faccio rientrare anche il tema partecipazione).
In particolare nel campo della viabilità/mobilità si possono distinguere le problematiche in base all’ordine di grandezza: vi è un problema più “macroscopico” ovvero la questione della viabilità su Viale delle Industrie/Via G. Battista Stucchi, in particolare in corrispondenza della rotonda (ma non solo, vista l’alta frequenza di incidenti anche all’incrocio con via Nievo, ad esempio) interessata qualche mese fa da un tragico episodio che ha portato alla morte di un ragazzo in bicicletta, attraverso la proposta di messa in essere di un attraversamento ciclo-pedonale in attesa dell’interramento definitivo. In merito vi è già una proposta di Mozione presentata dal Cons. Pilotto e vi è anche stato l’impegno assunto dal sindaco e dall’assessore Marrazzo, in occasione dell’incontro pubblico del 21 Dicembre scorso, di aprire un tavolo tecnico riguardante tale situazione. Ho anche segnalato che, come forza politica, il nostro commissario si sta informando per avere i dati su incidenti e simili non solo nella rotonda ma come sopra accennato anche nella viabilità circostante, per poter disporre di un quadro più complessivo.
Vi sono poi una serie di interventi a livello “microscopico”, ma che sono in una quantità tale da renderli un problema sentito e sensibile: una serie di interventi di manutenzione stradale che vanno dall’attivazione di un semaforo che non permette ad un pullman di compiere una nuova, più efficiente, tratta, allo spostamento degli spazi di affissione comunali in luoghi più leggibili e fruibili alla cittadinanza, ad una “rotondina” terminata e non ancora aperta, etcetera. In merito io ho proposto di raccogliere tutti questi interventi in una raccomandazione, che evidenzi anche la valenza politica di tali atti, da presentare in Consiglio e della quale poi chiedere i tempi di realizzazione. La proposta è in discussione con gli altri consiglieri presenti all’incontro.
Il secondo tema uscito con forza è quello di un tessuto urbano sociale-aggregativo che oggi manca in tutta evidenza. Mancano a Sant’Albino luoghi di aggregazione e socialità formali ed informali, che costituiscono di norma i nodi della rete di socialità di un quartiere (e a livello più ampio della città).
Questi nodi vanno dal centro civico (che questa amministrazione ha finalmente inaugurato e a cui oggi bisogna dare vita) a luoghi informali ma potenzialmente altrettanto significativi come un mercato rionale, un locale/pub, un chiosco in una piazza. In questo campo è chiaro che l’intervento dell’amministrazione è più complesso e dalle competenze non altrettanto definite, ma credo che si debba partire valorizzando e dando vita al centro civico che esiste già in maniera da riattivare perlomeno un nodo focale del tessuto di quartiere di cui sopra, favorendo poi la nascita di una reale rete attorno ad esso (e dunque di altri e nuovi nodi). Sul centro civico il comitato ha una propria proposta di attività, piuttosto dettagliata, che mi sono premurato di farmi inviare e che credo possa costituire la base di un dialogo con l’amministrazione per la sua massima valorizzazione.
Rispetto alla partecipazione delle consulte di quartiere ho informato della tempistica prevista dall’assessorato lasciando, come di dovere, l’esposizione e la discussione di contenuto alle assemblee pubbliche che verranno organizzate nei quartieri dall’assessorato per discutere la proposta dell’amministrazione.
In chiusura, mi piacerebbe fare un ragionamento però complessivo sulle tematiche segnalate dal comitato. Ovvero: i due grandi temi, viabilità-mobilità e tessuto sociale-aggregativo di quartiere, non sono a ben vedere due temi separati ma sono riconducibili ad un rapporto esistente unico, ovvero quello di centro-periferia. Come ho avuto modo di dire ieri, oggi S. Albino è nella triste condizione di essere “periferia della periferia”: è periferia in quanto parte, come Comune di Monza, dell’area metropolitana milanese, ed è però anche periferia di Monza.
Provando qui a sviluppare questo secondo concetto, di S. Albino come periferia di Monza, credo che se l’obbiettivo politico a cui tendere è trasformare nel lungo periodo il rapporto periferia-centro in un rapporto quartiere-quartiere (o perlomeno avvicinarcisi), allora risolvere i due ordini di problemi sopra esposti significa agire sui due fronti funzionali a questo processo. In altre parole, il rapporto centro-periferia si esplica oggi fra S. Albino e il centro città (o proprio Monza, come viene significativamente detto da alcuni cittadini) sul piano geografico, ovvero di distanza fisica, e sul piano sociale-aggregativo; se andando ad incidere sulla efficienza della viabilità andiamo a ridurre la forbice nell’ambito geografico di questo rapporto, andando a dare vita a nuovi nodi della rete di cui sopra riduciamo la forbice nell’ambito sociale-aggregativo di questo rapporto. Dobbiamo cercare, insomma, di lavorare di pari passo in entrambi gli ambiti: uno solo non basta, se vogliamo evitare di creare un quartiere collegato viabilisticamente ma “morto” (i famosi quartieri dormitorio) o un quartiere con un’efficiente tessuto urbano ma scollegato dal resto della città. Chiaro, entrambi rispetto ad oggi sarebbero un passo avanti, ma credo che, almeno nella progettualità, si debba sempre mantenere una visione quanto più organica.
EDIT: Ringrazio il comitato S. Albino per aver ripubblicato i miei appunti della serata sul loro blog, con un cappello introduttivo che qui riporto perché ne sono orgoglioso. Spero di poter ricevere un tale giudizio anche dopo che la nostra interlocuzione sarà proseguita.

Pubblichiamo gli appunti di Gerosa che abbiamo tratto dal suo blog. E’ stato da noi ieri sera fino a mezzanotte. Come gli altri consiglieri presenti ha dovuto accogliere e sopportare la stanchezza, la frustrazione e anche la rabbia che nel nostro quartiere si sono sedimentate in decenni. Ma ha trovato il tempo e la voglia di scrivere questa restituzione. Come Comitato dobbiamo rilevare che la politica può essere anche una cosa molto degna di rispetto.

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Un popolo in marcia

“I popoli in rivolta scrivono la storia, No Tav fino alla vittoria”.
Un coro scandito più volte al corteo di sabato, un coro che racchiude una profonda verità: quello che la lotta no tav è realmente una lotta di popolo, è la rivolta collettiva di una valle di irriducibili.
Senza retoriche, senza rappresentazioni mitiche, è una sensazione che avverti subito quando raggiungi il concentramento. Sei nella periferia (intesa come parte del binomio centro-periferia regionale), lontanissimo da perni politici pulsanti quali Torino o Milano, eppure respiri un movimento di popolo reale e radicato, che leggi nelle facce delle signore e signori che tengono i gazebo con squisiti panini al lardo e (ottimi) bicchieri di rosso, nei banchetti che vendono cibi e bottiglie di vino “no tav”.

Sotto il comunicato stampa da notav.info e il servizio del Tg3 nazionale (ad un certo punto potete anche vedermi sfilare inconsapevolmente davanti alla telecamera telecamera)

Se ce n’era bisogno la Valsusa lo ha dimostrato ancora una volta, in 80.000 al corteo che da Susa e arrivato a Bussoleno il popolo notav si è fatto vedere, baldo e fiero, con l’orgoglio della sua lotta e delle sue ragioni.

Una giornata densa di avvenimenti, iniziata presto che saputo esemplificare il senso di questa battaglia che non lascia scoperto nessun campo di lotta. Al mattino ispezione al cantiere con i parlamentari notav del Movimento 5 Stelle e di Sel, accompagnati dai tecnici ed esperti della Comunità Montana e da tre attivisti notav che hanno sfidato gli aut aut di Ltf e Questura.

A metà mattina il convegno organizzato dagli amministratori della Valle con la partecipazione di moltissimi aministratori di tutta Italia e da Laura Puppato e Michele Emiliano del Pd a testimoniare la profonda crepa che si sta allargando nel Pd. Il buon senso di chi amministra città e paesi contrapposto all’assurdità dei centri di potere e della politica del palazzo, ultimi superstiti del fronte sitav, quelli che ce lo chiede l’Europa e del non possiamo essere tagliati fuori.

E poi la manifestazione con l’espresisone collettiva di un popolo in marcia che si è trasformato in movimento di lotta da tempo, determinato e cosciente della propria forza e delle proprie ragioni. 8 kilometri sotto la pioggia, 80.000 uomini donne e bambini in marcia per difendere il nostro futuro, con la partecipazione di molti notav provenienti da tutta Italia.

Una giornata da ricordare, che testimonia che se il clima in qualche modo è mutato, fermarlo è sempre più possibile e fermarlo tocca sempre a noi!

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Marò che maccheronata!

Teribbile. Si dovesse riassumere in una parola la figura fatta dall’Italia sul caso dei due Marò lo farei così, rigorosamente con una r e due b.
Ora, la questione più propriamente di diritto internazionale la lascio a chi ne sa più di me, che è argomento complesso e per esperti del settore (consiglio caldamente di leggere gli articoli ai due link e anche la corposa mole di commenti al primo).
Quella dei marò è una vicenda però anche, e forse ancor più, politica.
Ed è qui che la politica italiana ha fallito miseramente.
L’Italia, nel merito, oserei dire che ha deliberatamente deciso, con l’atto iniziale di non far rientrare i marò in India come previsto, di schiacciare la soluzione giuridica del conflitto con quella politica: secondo il vecchio principio per cui del diritto internazionale, nella sostanza, lo stato più forte può infischiarsene, dato il principio dell’autotutela. L’Italia ha giocato questa carta: il non irrilevante problema che non si era posta è se fosse effettivamente l’attore più forte.
Credo che la soluzione politica alla vicenda sia arrivata da un cedimento di Terzi al pressing sempre più incessante che la destra para-fascistoide nel Pdl stava portando avanti da mesi (gli sbraiti dei fascisti del terzo millennio e affini sono divertenti ma non trovo siano ritenuti degni di nota); questo andava d’altra parte a braccetto con una campagna mediatica patriotticheggiante, monocorde sui canali governativi e mediaset, i quali mistificavano completamente la realtà e si sono anche esibiti in casi fin troppo accademici di servizi atti a influenzare indirettamente l’opinione pubblica sul caso: pochissimi giorni fa sul tg di Rai 2, subito dopo un servizio sui marò “che sarebbero rimasti in Italia”, un servizio su due italiani detenuti nelle carceri in India per un omicidio, nel quale si suggeriva neppure troppo velatamente la presunta ingiustizia del processo e la conseguente ingiustizia della carcerazione dei due italiani (a cui a prescindere va la mia solidarietà, scontare un ergastolo nelle carceri indiane non lo auguro a nessuno).
Il problema è che non si è calcolata la reazione. Si è pensato, probabilmente, che l’India si lamentasse, si incazzasse, ma che, secondo la dottrina sopra riportata, ciò poco potesse tangerci, tanto più con la copertura che l’Italia possiede in termini di reti e alleanze internazionali.
Ciò che non si è calcolato è che se in Italia l’indignazione per i due marò è stata sentita dalle alte cariche dello stato, da nazionalisti/patriottardi e da fascistaglia più o meno orgogliona e pochissimi altri, in India c’è stato un vero sommovimento popolare, con tanto popo’ di manifestazioni di cittadini incazzati neri.
In sostanza non si è calcolato che la mobilitazione popolare vera avutasi in India, a differenza di quella solo costruita in Italia, ha portato la classe politica indiana alla necessità di assumere decisioni anche drastiche pur di salvare la faccia davanti alla popolazione elettrice.
Qui risiede a mio parere l’errore più grande, in quanto non era difficile vedere tale differenza.
In India l’odio verso due militari che hanno ammazzato due pescatori poveracci, accresciuto dal trattamento da veri pascià di cui dispongono in India (guest house e hotel di lusso, menù preparati appositamente per loro a base di specialità italiane pagati dai contribuenti indiani) nonostante la retorica italiana che li vorrebbe dietro e sbarre, si interseca e si fonde con uno spirito patriottico molto più sentito che da noi, riassunto bene nel concetto “non si può far pippa”: l’India è fra gli egemoni a livello regionale ed è una delle “nuove” potenze mondiali assurte dal novero degli stati in via di sviluppo; è chiaro che l’India viva (1) da parte della classe politica la necessità di dimostrare continuamente il proprio prestigio, la propria rilevanza e la propria forza, per affermare il proprio pieno diritto a sedere fra le potenze mondiali; (2) una notevolmente maggiore mobilitazione popolare in difesa dell’onore, o del prestigio, della propria nazione per i motivi sopraddetti, tanto più se nei confronti di una “vecchia” potenza mondiale come l’Italia.
Tutti elementi che in Italia non sussistevano.
Aggiungiamoci che Sonia Ghandi, la presidente del partito del congresso indiano, è Italiana, e dunque tanto più necessario diventava essere inflessibili per scacciare le sempre più insistenti voci di accondiscendenza per questioni…di origine.
A questo punto la mossa indiana si è rivelata quasi obbligata ma anche decisiva: la scelta di impedire all’ambasciatore italiano di rientrare in Italia era una spudorata violazione dei più basici principi di diritto generale internazionale, ma anche l’India aveva evidentemente deciso di abbandonare, almeno momentaneamente, il campo del diritto per quello della politica, rilanciando sulla mossa italiana, decisa a scoprire il bluff.
E l’Italia ha scoperto il suo bluff.
Non più disposta a rilanciare sul piano politico, forzando l’uscita dell’ambasciatore dall’India, credo anche per la nuova consapevolezza acquisita della reale pressione popolare sul governo indiano, è rimasta vittima della sua stessa trappola: si è limitata ad appellarsi alla violazione del diritto internazionale. L’Europa ha fatto eco della dichiarazione italiana, in modo a dire il vero poco convinto, e allo stesso modo gli Stati Uniti, in modo ancora meno convinto (l’Italia è un stato fedele sotto l’ombrello Nato, e tale sarebbe comunque rimasto, l’India è una potenza regionale e mondiale con cui fare i conti). L’india ha significativamente risposto: “Embé?”, e a quel punto il bluff italiano è definitivamente ed ingloriosamente crollato.
La motivazione poi ufficiale di Terzi, “Abbiamo così garantito che ai due Marò non sia applicata la pena di morte”, oltrepassa abbondantemente la soglia del ridicolo: il rischio della pena di morte dei marò non c’è proprio mai stata.
Innanzitutto nessun politico indiano, per quanto spinto dalle masse inferocite, giustizierebbe due militari italiani senza pensare di avere a quel punto sì ripercussioni davvero pesanti. Secondariamente, la pena di morte in India è ormai raramente applicata: è stata sentenziata in due casi in tutto l’arco del XXI secolo (per intenderci gli Usa, che hanno 1/4 degli abitanti indiani, nel solo 2012 hanno giustiziato 43 individui), una volta nel caso di una strage di 150 persone da parte di un terrorista Pakistano (la peggior combinazione possibile se sei in India), nell’altra in un caso efferatissimo di stupro e successivo assassinio di una ragazzina minorenne. Pensare una simile pena per due marò che fino ad ora son stati trattati con tutti gli onori è fantascienza, a cui non crede neppure Giulio Terzi.

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Per ricordare Fausto e Iaio

Che idea morire di marzo, lascio un pezzo di vita e riparto più forte nella lotta, invidiavo i tuoi diciannove anni, ora me li sento addosso di più. E questa foto tua, che guardi lontano, un po serio. Se te la facessi vedere ora, ti metteresti pure a ridere dicendo che non era venuta bene, che in fondo non eri proprio tu. E tu, Iaio, doveri? Mi tornano in mente tutte le leggende antiche dei greci, quando i vivi si mettono a parlare con i morti. Poi non è più successo. La gente ha iniziato a dire che erano dei pazzi, che era meglio lasciare perdere. Perché bisogna dire che la tua è una morte politica dimenticando chi era Iaio? O dire solo che eri Iaio e dimenticare tutta quella gente sotto il sole e il vento di Milano con le montagne dietro? Sono qua, seduta su un foglio dove scorre l’inchiostro e mi appare il tuo viso, dolce, allegro. Sono fra mille persone, ognuna è diversa ma ognuna sei tu. Ti vedo in ogni corpo, ti sento in ogni voce, ti cerco in ogni strada. E poi, nellallegria dell’inchiostro ti ritrovo e ti bacio. Adesso il tuo viso non è più trasparente, adesso ti posso accarezzare, il tuo sorriso è caldo e vicino, i tuoi occhi chiusi sono davanti ai miei. Ti ho con me e domani ti porterò, ti rivedrò in ogni viso, ti cercherò altre volte, nellallegria di un sorriso: per poi tornare ad avvolgermi nella felicità di ritrovarti ancora con me. Di te conoscevo solo i sogni, il tuo sorriso, i tuoi libri, avevo visto solo i tuoi grandi occhi e la musica cheavevidentro,non ricordo le tue mani, non so chi amavi, di me non conoscevi niente, non volevo scoprirmi. Solo falsità e come vorrei avere i tuoi pensieri verso un cielo stellato e una luna che ha visto e sentito o verso un selciato sporco e una strada buia.
Puoi sentire quello che non ti ho mai detto?

(bigliettino anonimo lasciato in via Mancinelli, 1978)

Fausto e Iaio erano due ragazzi di 18 anni, due compagni frequentanti il Leoncavallo che da qualche mese lavoravano con altri ad un dossier sullo spaccio di ero a Milano. La sera del 18 Marzo del 1978 per questo vengono assassinati.
Gli inquirenti dichiarano subito che è un regolamento di conti interno alla estrema sinistra o addirittura fra spacciatori. La verità è che sono stati assassinati da un gruppo dei Nar, appartenenti all’estrema destra che a Milano in quegli anni era complice e fida alleata della criminalità organizzata nello spaccio di eroina.
Mauro Brutto è un cronista dell’Unità che con accuratezza inizia ad investigare sul caso non credendo alla versione ufficiale. Il 25 novembre viene assassinato fuori da un bar da una simca 1100 bianca che lo punta.
Le indagini sull’omicidio di Fausto e Iaio si prolungano fino al 6 Dicembre del 2000, quando l’inchiesta che vede come indagati Mario Corsi, Massimo Carminati, Claudio Bracci viene archiviata. Nella conclusione del giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Milano, Clementina Forleo, si legge:

Pur in presenza dei significativi elementi indiziari a carico della destra eversiva e in particolare degli attuali indagati (Massimo Carminati, Mario Corsi e Claudio Bracci), appare evidente allo stato la non superabilità in giudizio del limite appunto indiziario di questi elementi, e ciò soprattutto per la natura de relato delle pur rilevanti dichiarazioni. È dunque mancato il coraggio della giustizia e la forza della politica. Forse perché l’omicidio di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci conserva ancora oggi qualcosa di indicibile.

Da allora, da quando “Si organizza una manifestazione spontanea. Nessuno accetta etichette di gruppo. Le organizzazioni politiche della Nuova Sinistra offrono il loro appoggio ma promettono che nessuno striscione sarà esposto. Il corteo è scomposto, non ha una testa neppure una coda. E loro entrano dappertutto, e gridano, e urlano a gran voce: <>. Vetrine, macchine, lampioni: tutto viene distrutto in un disordine assordante. Piazzale Loreto, corso Buenos Aires, corso Venezia, Piazza San Babila. E alla fine giù nella grande piazza….piazza Duomo. La manifestazione termina quando Milano dorme ormai da ore. Molti si danno appuntamento davanti alle scuole. Si stenderanno solo per rimediare qualche minuto di riposo. Ma nessuno avrà sogni tranquilli. Quei due corpi sul selciato diventeranno incubi ricorrenti, visioni notturne che cambieranno la vita.” (da Daniele Biacchessi, Fausto e Iaio, 1996), la memoria di Fausto e Iaio è sempre stata ragione di impegno attivo e quotidiano nell’antifascismo e nella lotta contro la criminalità organizzata.

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Monza

Garibaldi torna a casa!

Garibaldi torna in piazza Garibaldi.
Monza è stata una delle prime città a dedicare una statua marmorea in onore all’eroe dei due mondi poco dopo la sua morte, nel 1886, realizzata da Ernesto Bazzaro.
La statua, presto deterioratasi, fu posta nel cortile dell’Olivetti, e sostituita da una statua bronzea dello stesso Bazzaro, in seguito spostata ai boschetti reali.
Grazie ad un’opera di restauro iniziata dalla scorsa giunta Faglia, oggi la statua marmorea originale è stata finalmente restaurata, e verrà posta nuovamente in Piazza Garibaldi.
La cerimonia si terrà Domenica 17 Marzo alle ore 11.00 in Piazza Garibaldi, alla presenza delle autorità cittadine e delle associazioni.
Un’ora prima, alle ore 10, l’associazione Mazziniana monzese deporrà una corona d’alloro presso la targa dedicata ai risorgimentali monzesi in Piazza Trento e Trieste.

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Monza

La spending review che piace a noi

Dal sito del comune di monza, la spending review che piace a noi perché taglia davvero negli sprechi e non nella carne viva: ridurre al minimo il numero dei consiglieri d’amministrazione di Agam.

Invito dei sindaci di Como e Monza e da A2A
I sindaci di Como – Mario Lucini – e di Monza – Roberto Scanagatti – e il socio A2A hanno inviato oggi una lettera al consiglio di Acsm-Agam (a breve chiamato a nominare i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società del gruppo), invitandolo a contenere i costi di funzionamento degli organi sociali riducendo al minimo il numero dei consiglieri d’amministrazione.
Como, Monza e A2A sono i soci di Acsm Agam che hanno siglato il patto parasociale e che rappresentano insieme poco più del il 75% delle azioni. La rimanente parte del capitale è nelle mani dei risparmiatori, essendo la società quotata al mercato telematico azionario di Milano. Gli organi delle controllate in scadenza in primavera sono: consiglio di amministrazione e collegio sindacale di Acsm Agam Reti Gas Acqua spa e di Comocalor spa e i consigli di amministrazione di Serenissima Gas spa, e quello di Enerxenia spa. Se il cda accoglierà le indicazioni dei soci, il numero complessivo dei consiglieri nelle controllate diminuirà di ben 12 unità.
“Quello che conta – commenta il sindaco di Como Mario Lucini – è che le società vengano ben gestite, nell’interesse della collettività. Non è certo il dato quantitativo che garantisce la buona amministrazione e noi, del resto, non abbiamo bisogno di distribuire incarichi. Sono certo che le nostre sollecitazioni saranno accolte dal consiglio di Acsm-Agam e che saranno operate scelte sapienti in termini di donne e uomini che sapranno condurre bene le controllate del gruppo”.
“In tempi di spending review e di crisi – aggiunge il primo cittadino di Monza Roberto Scanagattiabbiamo il dovere di intervenire in ogni ambito per ridurre i costi a carico della collettività, liberando risorse per continuare ad assicurare ai cittadini servizi fondamentali in un momento in cui gli enti locali sono fortemente penalizzati dalle politiche di austerità. L’indirizzo che abbiamo dato consentirà alle società di operare in maniera più snella continuando a garantire servizi efficienti e ai comuni che ne sono in parte proprietari di risparmiare risorse da destinare alle esigenze delle nostre comunità”.

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Dal Welfare a iniziative per il rilancio dell’occupazione

Dal sito del Comune di Monza.
E’ stato sottoscritto dal Sindaco Roberto Scanagatti e dai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil Monza e Brianza Maurizio Laini, Marco Viganò e Antonio Zurlo, un protocollo d’intesa per rafforzare il ruolo della città quale punto di riferimento per il sistema economico e produttivo territoriale.

Il protocollo, il primo documento di questo genere sottoscritto dal Comune e dalle organizzazioni sindacali, affronta i principali temi che saranno in seguito oggetto di accordi specifici: dal sostegno al welfare, alla promozione degli investimenti di qualità in grado di generare buona e stabile occupazione a Monza, alle politiche di tutela ambientale e territoriale. Cgil, Cisl e Uil hanno subito espresso apprezzamento per l’accordo raggiunto e ritengono importante che questo possa fare da traino per accordi con altri enti locali.

Il governo del territorio – si afferma in sostanza nel protocollo a cui ha lavorato, per il Comune, l’assessore alle Attività produttive Carlo Abbà – deve contribuire a promuovere uno sviluppo economico e di innovazione che si caratterizzino per la qualità delle attività produttive e dei servizi, puntando al rilancio del lavoro inteso anche come valore in sé oltre che fattore di crescita occupazionale, con una particolare attenzione alla salvaguardia dell’ambiente e al benessere dei propri cittadini.

L’intesa prevede la costituzione di una “cabina di regia”, composta da rappresentanti del Comune e delle sigle sindacali, che si confronteranno sulle scelte strategiche e di indirizzo attraverso tavoli di lavoro riguardanti in particolare il welfare municipale (ad esempio imposte e contrasto all’evasione, politiche socio-sanitarie e abitative, politiche per l’infanzia, scolastiche e per all’integrazione sociale), l’ambiente e la qualità della vita, il bilancio di previsione, a cui annualmente sarà dedicata una sessione di confronto preventivo.

E poi ancora sviluppo economico in particolare puntando su utilizzo e valorizzazione delle aree dismesse, sui rapporti con istituti universitari e della ricerca, sulla programmazione delle infrastrutture, su commercio, artigianato e turismo e sul contrasto all’illegalità. L’accordo sottoscritto non si sovrappone né sostituisce le contrattazioni sindacali tra Comune di Monza e i suoi dipendenti, previste dalla legge e dai contratti collettivi nazionali e decentrati.

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L’ottare sempre

Piccolo excursus storico: qualche anno fa lessi un volume dedicato ad Anna Kuliscioff, il quale riportava anche la raccolta di lettere, messaggi, dichiarazioni dei compagni socialisti di tutta italia alla sua morte. Ad eccezione di quelli di pochi compagni, spesso coloro che sono passati alla storia, vi è un’immagine comune a moltissimi di questi messaggi: quella di “un uomo nel corpo di una donna”, di “una donna dal carattere e dalle qualità maschili”, come massimo complimento. Scritto da compagni socialisti che avevano sinceramente amato e stimato la Kuliscioff. Fosse potuta risorgere un solo giorno, lei lo avrebbe probabilmente impiegato per strozzarli tutti. Non avevano capito nulla della lotta quotidiana che aveva impiegato per scardinare il monopolio dell’uomo.
Vedere la donna secondo i parametri maschili, sopratutto vedere la donna in funzione dell’uomo, è un atteggiamento sommessamente implicito in molti ragionamenti ed atteggiamenti più o meno consapevoli di noi uomini; è un atteggiamento a cui anche chi si dimostra per pensiero e attività più impegnato nella lotta per la liberazione femminile talvolta inconsciamente cede per poi repentinamente accorgersene; perché, fondamentalmente, è uno dei frame fondamentali della cultura occidentale, che ci piaccia o meno.
La battaglia per il riconoscimento del femminicidio come fenomeno sociale peculiare, nonché per l’introduzione dello stesso termine nel linguaggio quotidiano, è fondamentale perché isola con precisione chirurgica la manifestazione ultima di questo frame della donna come mera funzionalità maschile, ovvero l’uccisione della donna “in quanto donna“, e ne testimonia la gravità con la precisione di ciò che può essere contato (pure se molti rischiano di non venire mai alla luce).
Le battaglie più difficili come è noto sono quelle culturali, perché non basterà una legge sul femminicidio (sperando che venga fatta!) per risolverne il problema o eliminare la discriminazione di genere.
La disparità di genere si nota negli atteggiamenti inconsci quotidiani più banali: come il razzismo sarà più estraneo alla cultura occidentale solo quando non avremo l’istinto di dare alla persona di colore del tu invece che del lei, così per la questione di genere: Il maschio-centrismo ugualmente potrà aver fine soltanto quando non accadranno più eventi e fenomeni terribilmente quotidiani: quando nelle pubblicità dei prodotti di pulizia il protagonista non sarà più sempre una donna, e nelle pubblicità di automobili non sarà più sempre un uomo a guidarle; quando non vi sarà un’evidente disparità nei criteri di selezione di conduttori televisivi maschi e femmine; quando una donna disporrà del libero impiego del proprio corpo senza ripercussioni sociali; quando non ci sarà più bisogno delle quote rosa; quando…quando…quando…
Nel mentre, l’ottiamo sempre.